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Intelligenza artificiale. Cosa può fare su uno smartphone, cosa no

Alessandro Polli  |  Ottobre 16, 2017

Con il lancio dello Huawei Mate 10 l’intelligenza artificiale, si legge nei comunicati stampa della società di Shenzhen, entra ufficialmente negli smartphone di fascia alta. È solo marketing o c’è qualcosa di concreto? Se lo chiede Roberto Pezzali in un articolo pubblicato oggi su DDay.it, dove ripercorre alcuni concetti alla base della moderna IA, per poi concentrarsi proprio sulle funzionalità promesse dal nuovo smartphone cinese.

Il succo dell’argomentazione di Pezzali è il seguente: l’attuale caratterizzazione della intelligenza artificiale − quella delle auto a guida autonoma e dei vari assistenti virtuali presenti, ad esempio, sugli smartphone − è quella di un’IA «in senso debole», cioè un algoritmo specializzato nello svolgimento di un solo compito, sia esso analisi dell’immagine, riconoscimento vocale o riconoscimento del testo.

L’intelligenza artificiale è oggi più o meno alla portata di tutti gli sviluppatori, grazie alla disponibilità su cloud di algoritmi facilmente implementabili in fase di progettazione. Si va da Rekognition e Alexa Voice Service di Amazon Web Services (AWS), specializzati rispettivamente nel riconoscimento immagini e riconoscimento voce/elaborazione in linguaggio naturale grazie ad algoritmi di deep learning, per arrivare a Tensorflow di Google e Caffe2 di Facebook – che ha recentemente lanciato in partnership con Microsoft l’ecosistema ONNX, per facilitare la transcodifica e l’interscambio di risorse tra ambienti di sviluppo IA.

In alternativa, è possibile lanciare gli algoritmi di IA in locale, e cioè direttamente sul dispositivo, che quindi è dotato di processori dedicati – GPU o processori espressamente progettati per applicazioni IA. È la strada tentata, ad esempio, da ARM con i processori Cortex A-75, progettati per fornire un livello di prestazioni adeguato per le più recenti applicazioni di machine learning e di intelligenza artificiale, senza passare attraverso la strozzatura rappresentata dal cloud, con evidenti vantaggi in termini di maggiori prestazioni e migliore efficienza energetica.

Nello specifico, lo Huawei Mate 10 monta il SoC Kirin 970, che comprende una Neural Processing Unit (NPU) in grado di velocizzare le operazioni in locale con riferimento ad alcuni compiti specifici, quali il riconoscimento di elementi all’interno di una scena – con applicazione di filtri di fotoritocco specifici per l’ottimizzazione delle immagini riprese con la fotocamera – la riduzione del rumore audio e l’indicizzazione delle immagini presenti nella galleria.

Naturalmente, si tratta di poche applicazioni pre-programmate – nel senso che non è presente un vero e proprio algoritmo di deep learning e quindi non è possibile aggiungere dati per migliorare la qualità delle prestazioni – ma molte altre si renderanno disponibili con il tempo, considerato che il sistema IA di Huawei è già predisposto per utilizzare Tensorflow Lite di Google, la libreria espressamente dedicata ai dispositivi mobili, mentre a breve saranno disponibili per gli sviluppatori istruzioni specifiche per la NPU integrata.

«Per realizzare certi tipi di applicazioni che si appoggiano alla fotocamera, al riconoscimento delle immagini e al riconoscimento di voce e testo sfruttare una intelligenza artificiale è d’obbligo, ma bisogna comunque rendersi conto che quello che può fare oggi una AI è questo, nulla di più», conclude Pezzali nell’articolo. «Per una volta non è tutto marketing, ma se non ci saranno le app e i servizi il rischio che tanta potenza resti inutilizzata è concreto».

Fonte: DDay.it

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