Ormai le reti neurali profonde sono in grado di prevedere accuratamente l’attività cerebrale, ma i ricercatori faticano a interpretare i risultati.

I progressi raggiunti nel campo dell’intelligenza artificiale stimolano sempre più l’interesse della neuroscienza computazionale. Questa disciplina studia, tramite modelli matematici, le modalità con cui il sistema nervoso elabora gli stimoli sensoriali per tradurli in attività cognitive e comportamentali. Comprendere tali meccanismi, infatti, è cruciale per recuperare o sostituire, completamente o parzialmente, le funzionalità del sistema nervoso stesso in caso di lesioni.

La formulazione di un modello matematico dell’attività cerebrale richiede la registrazione di tale attività nelle aree interessate dall’attività cognitiva o comportamentale e la sua decodifica. Naturalmente, con il progredire delle metodologie di registrazione, anche i modelli matematici hanno subito una profonda evoluzione.

Nelle prime fasi i modelli matematici proposti hanno consentito di rappresentare le attività sensoriali di basso livello. Tuttavia, osservano Kietzmann e McClure della Brain Science Unit dell’università di Cambridge e Kriegskorte del Dipartimento di Psicologia della Columbia University, autori di un paper recentemente pubblicato su bioRxiv (un network mondiale per la ricerca in campo biologico), «il cervello è una rete ricorsiva profonda che si avvale di trasformazioni non-lineari multistadio e dinamiche complesse. È quindi inevitabile che la neuroscienza computazionale si affidi sempre più a reti neurali profonde», cioè l’architettura di apprendimento oggi più diffusa nel campo dell’intelligenza artificiale.

Tuttavia, la comunità scientifica ha espresso molte perplessità circa le reti neurali profonde come paradigma interpretativo dell’attività cerebrale. Un argomento solitamente avanzato è quello della “black box”: le reti neurali profonde, caratterizzate ormai da milioni di parametri (l’algoritmo VGG-16, utilizzato per il riconoscimento di oggetti, ha 138 milioni di parametri) scambiano semplicemente un sistema impenetrabilmente complesso con un altro. Sono in grado di prevedere accuratamente l’attività cerebrale, ma questo risultato non ha nessun valore, se i ricercatori faticano a capire cosa la rete stia esattamente facendo. D’altro canto, osservano altri autori, le reti neurali profonde sono troppo semplici rispetto alla realtà biologica per essere realmente utili come modello per le neuroscienze.

Nel complesso queste obiezioni, apparentemente contrastanti, sollevano una questione fondamentale: nel tentativo di spiegare le funzioni cerebrali, per quali caratteristiche della struttura biologica si può ricorrere a modelli matematici?

Fonte: bioRxiv