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Big data. Facebook e Twitter, i conti non tornano

Alessandro Polli  |  Novembre 1, 2017

Partiamo da una domanda: qual è il modello di business di Facebook, Google e Twitter? Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Guardian, Facebook ottiene il 97% del suo fatturato dalla vendita di spazi pubblicitari. E Google non dovrebbe essere molto lontano da quella percentuale, ma con un fatturato all’incirca triplo rispetto a quello della società di Menlo Park, mentre Twitter, seppur con numeri molto inferiori, è la società che cresce di più, con un incremento di fatturato pari al 734% fra il 2012 e il 2016.

Ovviamente, per poter attrarre gli investitori, tali società devono misurare accuratamente il rendimento dell’investimento pubblicitario online. Si utilizzano apposite metriche, quali il fatturato medio per utente (average revenue per user, o ARPU) o simili. È importante notare che al denominatore di tali indicatori compare abitualmente il numero medio mensile di utenti attivi (monthly active user, o MAU).

Quindi, se le informazioni statistiche che contribuiscono al calcolo di tali indicatori non sono accurate, potrebbero determinarsi gravi ripercussioni sia per la reputazione aziendale, sia per il valore dei titoli emessi.

È proprio quello che si è verificato nei giorni scorsi, come riporta Usa Today. In occasione dell’indagine sui falsi account russi − che avrebbero acquistato pubblicità politica per influenzare l’esito delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti lo scorso anno, le commissioni sui servizi segreti del Senato e della Camera hanno dipinto una situazione da Far West.

Lo scorso 26 ottobre Twitter ha dovuto ammettere che il software utilizzato per le attività di analytics conteggiava non soltanto gli utenti della popolare applicazione, ma anche quelli di applicazioni sviluppate da terze parti – qualcosa come 1-2 milioni di utilizzatori in più a trimestre – e soprattutto che la situazione perdurava dal 2014.

Twitter non è la sola società ad avere problemi. A settembre, riferisce Reuters, Facebook è stata accusata da Brian Wieser di Pivotal Research di avere sovrastimato la sua diffusione fra gli under 35: infatti Menlo Park affermava di raggiungere 25 milioni di giovani in più rispetto a quelli ufficialmente presenti negli Stati Uniti in base ai dati diffusi dal Bureau of Census.

Quali sono le cause di questi errori di stima? Secondo Debra Aho Williamson, analista di eMarketer, «la misurazione dei digital media non è una scienza esatta come si potrebbe credere», per tutta una serie di motivi: molti utenti dei social network hanno più di un profilo, ad esempio uno per il lavoro e l’altro per gli amici. Altri profili sono completamente falsi. E, non ultimo, dietro molti profili si nascondono bot che generano contenuti automaticamente. Per tutti questi motivi, aggiunge la Williamson, in molti casi «il conteggio degli utenti risulta sotto o sovrastimato».

Quanto sovrastimato? Secondo eMarketer, al netto dei profili duplicati o falsi e dei bot, Facebook nel 2016 avrebbe avuto 1,37 miliardi di utenti attivi, contro 1,86 miliardi comunicati da Menlo Park. Una bella differenza.

Fonte: Usa Today